giovedì 3 gennaio 2019

CANNERO - MARIO CARMINE E IL "CANARONE"

DA "LIMONE RUGOSO" A "CANARONE"
MARIO CARMINE ARTEFICE DELLA SUA DIFFUSIONE
CANNERO RINGRAZIA E NON DIMENTICA


C'è sorpresa e sconcerto nel constatare come venga raccontata sui social, meglio ancora: di come non venga raccontata, la storia del "Canarone di Cannero". Titoli e frasi ad effetto: PRODOTTO DI NICCHIA, PRODOTTO D'ÉLITE, DI DIRITTO SULL'ARCA DEL GUSTO, SLOW FOOD, WORKSHOP ORANGE, AGRU-MAIL il tutto ad uso e consumo proprio per riempire contenitori creati ad arte spacciati per "culturali" ma in realtà con scopi di solo profitto, da qui le pagliacciate (a pagamento) delle sfere di polistirolo a figurar agrumi su un territorio dove gli agrumi crescono per conto proprio. Ma torniamo al Canarone. A nessuno, ma proprio a nessuno, è mai passato per la testa di risalire alle origini? Eppure non sono lontane, appena dietro l'angolo, datate e documentate: anni ottanta. Fin le anatre che starnazzano sulle rive del lago raccontano la storia agli anatroccoli tra le onde. A me questa curiosità è venuta, la mettiamo nero su bianco papale papale come ci è stata consegnata.
Previo accordo mi sono recato alla "Casa della Margotta", luogo da dove la diffusione del Canarone ha avuto origine, consentendo la riproduzione e l'incremento degli esemplari su tutto il territorio di Cannero. I "si legge, si dice" si sprecano. La storiografia è avara di notizie. Qui si mette un punto fermo di partenza, arricchito da testimonianza "in voce", alla storia "del Canarone di Cannero".
Mi apre Ornella. Quattro parole per spiegare cosa voglio sapere, senza preavviso aziono il registratore, voglio che quanto salti fuori sia il più spontaneo possibile senza condizionamenti, al termine della conversazione comunicherò di aver registrato tutto ottenendo libertà di utilizzo dell'audio. Tre ore di parole, aveva il sacco pieno, cercava l'opportunità di vuotarlo, a me è toccato raccogliere il contenuto, ne esce uno spaccato di vita cannerese; preziosa testimonianza in tempi di memoria corta. E parla, parla, parla.... Ma c'è un ma! La storia del Canarone, a mia insaputa, si intreccia con quella delle "Camelie di Cannero" perchè tutto ha origine alla "Casa della Margotta", non si può parlare di uno escludendo l'altro. Per quanto riguarda la Camelia mi viene in aiuto il volume pubblicato nel 2003 da Alberti Libraio Editore con il suo "ANTICHE CAMELIE DEL LAGO MAGGIORE" dal quale prendo alla lettera quanto scritto nella presentazione che recita:
«..... i nomi dei molti vivaisti verbanesi che in passato fecero la fortuna della Camellia sono quelli dei Cantamessa, dei Contini, dei Cavadini, degli Hillebrand e degli Zanoni. Ma quelle sono glorie presenti o passate. Il futuro per la storia della Camellia verbanese sta oggi nelle mani e nelle memorie dell'Inglese, che ad ottantacinque anni ben suonati, sa ancora stupire per quello che conosce sulle antiche cultivar verbanesi; al punto da tramandare alla figlia, continuatrice del vivaio di famiglia, tutte le preziose informazioni (e con esse le splendide piante di Camellia) raccolte in settant'anni di lavoro.
Il primo ibrido del Mario: Camelia Alessandro Carmine
L'Inglese è più noto sotto nome di MARIO CARMINE. "Inglese" è il motteggio con cui il padre lo scherniva benevolmente, quando Mario, quindicenne negli anni intorno al 1930, rifiutava di piegarsi alle poco fantasiose regole di una vita legata ad una rigida economia di sussistenza, per lasciarsi invece andare a voli di fantasia e a sogni da giardiniere. "Roba da signori, stramberie da inglesi", replicavano quasi quotidianamente il padre e il nonno di Mario, quando il figlio arrivava a casa con qualche cultivar rara, appena scovata chissà dove, e la piantava là, sulle balze ricavate dai fianchi della montagna, dove le generazioni dei suoi avi avevano invece piantato la vite per trarne qualche cosa di concreto: non fiori ornamentali, uva da vino.
Eppure Mario dimostrò sin da subito di avere le idee chiare e le convinzioni profonde come le radici delle piante che crescono in terra buona. Iniziò come apprendista giardiniere presso Carlo Zanoni di Cannero, vi fece pratica per sei anni. Non rinuncerà mai per nulla al mondo, Mario, a ricordare che al termine della prima settimana di lavoro, quando lo Zanoni gli domandò cosa volesse per le ore di lavoro, lui invece che soldi chiese una "Contessa Lavinia Maggi". Quel ragazzo con quegli strani grilli per la testa non aveva fatto solo una boutade: divenuto giardiniere, iniziò a raccogliere rare piante di Camellia, ovunque gli capitasse, disseminando di margotte la sponda del Lago Maggiore da Intra a Locarno, e certo molti avranno sorriso di lui, specie nei tempi in cui la Camellia non era pianta di moda, ed anzi le collezioni erano fatte segno di disinteresse e lasciate ad un triste abbandono. Eppure Mario continuava tenacemente. Dopo la guerra (tra cui le poco piacevoli vicende durante la campagna di Grecia), nel  maggio 1947 ritornò all'antica occupazione e passione, impiegandosi presso la ditta Schober di Ascona, dove sarebbe rimasto fino alla pensione.
Con gli Amici della" Società della Camelia" tedesca
Nel 1956 Alessandro Carmine affida al figlio Mario il terreno con vivaio che dalla Statale 34 sale fino alla piccola frazione cannerese di Cheggio; l'affascinante sito, di proprietà del cugino Luigi Albertella, mezzo bosco, mezzo loeugh (piccolo podere di montagna, con prato, orto, rustici dai tetti in sasso) in decenni è divenuto l'attuale ampio e conosciuto "Bosco delle Camelie". Mario Carmine rinforzava quotidianamente le proprie collezioni di camelie, ma non solo: in una passione onnivora, mette a dimora anche Rhododendron ed altre piante acidofile. Si dedica all'ibridazione, e i successi non mancano. In occasione della famosa mostra del 1975 alle Isole di Brissago, evento che ebbe rinomanza mondiale, Mario Carmine fu uno dei principali artefici, in quanto socio fondatore, con l'allora Sindaco di Cannero Dott. Luigi Grancini, della "Società Italiana della Camellia" tra i più attivi. E attivo Mario lo è tutt'oggi, a ottantacinque anni, nell'animo ancora ragazzo tenace e innamorato della propria favolosa collezione di camelie antiche: solo che già da qualche lustro lo affianca con analoga passione e, se mai è possibile superare tale maestro, ancora maggiore competenza, la figlia Ornella: i vivai Carmine sono stabilmente presenti in molte manifestazioni verbanesi e non (come ad esempio Euroflora a Genova), apprezzati, ricercati e sempre fatti segno di riconoscimenti e premi. Quei premi. quei riconoscimenti ne ricordano altri, attribuiti cent'anni orsono ai Rovelli. Dinastia tramontata, dopo una secolare stagione di successi, quella dei Rovelli, dinastia "in formazione", con apprezzamenti e riconoscimenti ottenuti e a venire quella dei Carmine di Cannero».


Mario Carmine, 19-6-1918 / 7-6-2006
E queste sono le parole di Ornella.
«Amareggiata, disgustata, delusa? Certo che sì, non può essere diversamente, si metta nei miei panni. Una vita a mettere in pratica e tramandare i sani principi di papà Mario e li vedi svanire non so se per ignoranza, cattiveria o egoismo di quanto ti circonda; un bel giorno apri gli occhi e ti sembra tutto diverso e ti chiedi: "Ho dormito prima o sto sognando adesso ad occhi aperti?".  Pensi alla disponibilità sempre offerta di tempo, di materiale e anche economica per il piacere di farlo, certo non solo io ma con altri volenterosi e tutti con lo scopo di far bello il nostro paese; ma io, da quando non c'è più, desideravo che ogni mia collaborazione servisse a tenere vivo il ricordo di papà. Aveva un debole per i fiori, in particolare delle camelie... Il primo ibrido lo dedicò al nonno Alessandro.
L'orologio fatto dal Paolo Pacek per i mercatini di Natale

Col passare degli anni ci siamo trovati con una gran quantità di piante di camelie in giardino e con papà si parlava di fare qualcosa per diffonderle, farle conoscere. Nel 1994 lavoravo al "Cannero", si erano liberati i locali ove c'era l'Ufficio Postale, la proprietaria Signora Maria Carla li mise a disposizione per realizzare qualcosa. La chiamammo CAMELIE IN MOSTRA, assente da Cannero dal 1984 fu un successo, in seguito con l'impegno della Pro Loco tornò a cadenza annuale. Le barche infiorate con papà in prima fila a dare consigli. Abbiamo messo in piedi, sempre con altri volontari, i primi MERCATINI DI NATALE, nella piazzetta del Comune; in tanti a portare piccole cose fatte in casa per il piacere di far festa. Ricordo la Silvia Morisetti a fare giochini per bambini, c'era chi realizzava angioletti in gesso, il figlio del Pacek Paolo faceva orologi da tavola e li esponeva, io ne ho acquistato uno che funziona ancora e il Donini con la sua cioccolata calda. Erano i tempi del "tutti per uno, uno per tutti".


La pianta del "Limone rugoso" rinata dopo la gelata degli anni 80
Già ... a lei interessa la storia del Canarone ma non potevo tenere separate le due cose, viaggiano insieme, sono lo specchio del modo di pensare e di agire di papà: generoso, altruista, innamorato dei fiori e di Cannero. .... Siamo venuti ad abitare in questa casa nel 1956, il nonno aveva già realizzato una limonaia più sopra, ci fu un gran gelo che decimò le piante allora papà decise di rifarla più in basso in una zona che sembrava più riparata, un arancio lo avevamo sotto qui vicino a casa, più sopra un sanguinella e un vaniglia, a metà su un campettino poco più di un metro di profondità a ridosso del muretto retrostante una pianta di agrumi con frutti diversi dagli altri, sembrava un limone ma non era limone, sembrava un cedro ma non era un cedro, faceva tanti frutti e per distinguerlo dagli altri quando si raccoglievano avevamo preso a chiamarlo "limone rugoso", non c'era un modo preciso del suo utilizzo in cucina, aveva un sapore strano, lo si consumava così come veniva senza particolari ricette ma era lì, per noi faceva parte della famiglia "agrumi". Arrivò la gelata del 1985 e anche in questo caso piante decimate compreso il "limone rugoso". E papà a rimettere in piedi limonaia, arance, il cedro "Bajoura", del "limone rugoso" non si sentiva la mancanza anche perchè era poco considerato. Passa qualche anno e nel fare la pulizia primaverile in giardino sulla pianezza dove c'era il "limone rugoso" ma non nello stesso posto, più avanti sul bordo del muretto sottostante e tra i sassi noto un arbusto nuovo sottile e con le foglie tipiche degli agrumi. Con papà si decide di lasciarlo per vedere cosa vien fuori. Era una pianta bella, vigorosa in pochi anni cominciò a fare fiori e frutti anche loro "rugosi". Papà nel timore di perdere esemplari in caso di nuove gelate prese a fare ciò che per lui era un gioco: margotte, una due tre quattro e via a distribuirle: "Se muore a me almeno che in giro si salvino piante da poterle riprodurre" sosteneva.  Non era geloso, più esemplari esistevano in Cannero più alta era la possibilità di salvaguardare la specie. Ricordo bene: abbiamo dato piante di "limone rugoso" al Giorgio Agosti, al Melezio, alla Lucia, alla Fiorangela, al Dellamora, al Gianfranco Giustina allora giardiniere all'Isola Madre in seguito mastro giardiniere di casa Borromeo e nel 2014 eletto "miglior giardiniere del mondo".
Nel frattempo in Cannero montava sempre più il  parlare di agrumi; la possibilità di ripetere l'exploit ottenuto con le Camelie di Cannero e abbinare gli Agrumi di Cannero alla sua storia si faceva sempre più concreta; c'era entusiasmo, almeno tra i proprietari di giardini con piante di agrumi. Stava maturando il sogno di un "Parco degli Agrumi" e come conseguenza una "Mostra degli agrumi di Cannero". Per ottenere un risultato il più possibile vicino alla realtà si era reso necessario interpellare persone esperte del settore, a quel punto determinante e decisivo fu l'intervento di Maria Pia Bottacchi, allora Sindaco. Prese in mano la situazione e cominciò a contattare le persone giuste. Dalla Toscana invitò i TINTORI, allora considerati tra i maggiori conoscitori di agrumi. E vennero qui i Tintori, un paio di volte, la pianta del "limone rugoso" li incuriosiva particolarmente: i primi giudizi portavano al "Canarone", si rese necessario uno studio più approfondito, sempre a carico del Comune, presso il quale certamente esiste la documentazione, si diede incarico all'Università degli Studi di Torino, Dipartimento Colture Arboree per una ricerca al fine di stabilirne il dna. L'esito fu di un frutto della famiglia del "Canarone" ma con piccole differenze da quello toscano e da quello ligure. Da quel momento il "limone rugoso" prese ufficialmente nome di "Canarone di Cannero". Tutte le piante esistenti in Cannero di diritto potevano fregiarsi di tale nome. Non so quante ne siano state riprodotte dalle margotte distribuite da papà o quante abbiano ceduto alle gelate che ogni tanto arrivano improvvise. La nostra quest'anno ha preso una botta! Nessun frutto, per fortuna l'insegnamento di papà mi è stato utile, qualche pianta c'è ancora in giardino e tanto mi basta. Devo anche precisare che dopo la suddivisione delle proprietà di famiglia la parte con la vecchia pianta madre del "Canarone" è passata a mia sorella Daniela Carmine. Ho un rammarico: il mio obiettivo era quello di legare, come per le "Camelie di Cannero" il nome di papà Mario al "Canarone". Non ci sono riuscita, forse sono stata illusa da un improvviso interesse generale: venivano a chiedere informazioni, la professoressa ... non mi viene il nome ... un paio di volte a far domande, fare fotografie e filmini, mi son detta che forse era la volta buona, qualcuno lo avrebbe fatto per me. Se circola qualcosa col nome di papà lo ritaglio e lo conservo. Niente. Leggo di un quintale di frutti all'anno, il Canarone sull'Arca Slow Food ... ma tiratelo giù, mettiamolo sulla zattera di Cannero. Allora ho detto basta. E mi sono tolta da tutto. Qualcuno mi sussurra che sono cambiati i tempi. No caro mio! È cambiata la gente, sono venute avanti persone maleducate, arroganti, col sorriso in pubblico ma a tu per tu di una villania sorprendente, quando poi si riparano dietro un telefono non le dico fino a che punto si spingono salvo poi scusarsi per lettera».  

Dalla registrazione abbiamo estratto alcuni passaggi significativi, se vuoi ascoltare  clicca qui  (7 minuti).




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Uno sfogo più che giustificato meritevole di essere condiviso da una Comunità che non dimentica, opportuna quindi la pubblicazione. È bene che da qualche parte si legga la storia di questo benedetto "Canarone". Il pericolo che qualcuno, col passare del tempo e la memoria corta di tanti, si erga a "salvatore della specie" è reale; sul web e su carta le "oche giulive" se la suonano e se la cantano con il copia-incolla ma non la raccontano giusta. Io sto con lo starnazzare delle anatre che si ricordano del MARIO CARMINE e sono certo di essere in buona compagnia.
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P.S. Questa pagina è rimasta a lungo in attesa del "clic" per la pubblicazione; nei giorni della sua costruzione il destino ha fatto sosta alla "Casa della Magnolia" e si è portato via Luigi, marito di Ornella. Ha avuto giusto il tempo di vedere le prime bozze, aspettava incuriosito il risultato finale ma ... Eccolo Luigi! È rimasto come lo hai letto la prima volta, ovunque tu sia lo puoi controllare.

2 commenti:

Danilo ha detto...

Gnegno le scovi "TUTTE TU", sei un genio

il bastiancontrari ha detto...

Non nasconderti dietro al vecchio nomignolo "Gnegno" ti ho riconosciuto. Nessun "genio" si tratta solo di metterci la faccia e raccontare qualcosa. Tu piuttosto cosa aspetti a far sapere pubblicamente di quando con tuo nonno su una vecchia moto salivi sui monti a portare pane nero e formaggio alla baita della Rosetta che serviva a foraggiare quelli che si nascondevano nei boschi durante l'ultima guerra? Ricordi ancora bene o incominci ad avere vuoti di memoria?